Dirigenti e obbligo di fedeltà

Articolo pubblicato su Partner24Ore Network – Il Sole 24 Ore

Il dovere di fedeltà del dirigente, sancito dall’articolo 2105 del Codice Civile, impone al lavoratore l’obbligo di astenersi da attività in concorrenza con il datore di lavoro e dal divulgare informazioni aziendali riservate. La giurisprudenza recente ha ulteriormente ampliato la portata di questo obbligo, integrandolo con i principi di correttezza e buona fede previsti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 26181 del 7 ottobre 2024, ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dirigente di un’azienda speciale a partecipazione pubblica, che aveva assunto un ruolo apicale in una società privata, sulla base dell’obbligo di fedeltà in capo al dipendente.
In particolare, la suddetta ordinanza ha ribadito che l’obbligo di fedeltà non si limita al divieto di concorrenza o alla violazione di segreti produttivi, ma occorre avere riguardo anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate; è chiaro che nel rapporto di lavoro dirigenziale il profilo del vincolo fiduciario assume particolare rilievo, stante il rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro e stante la posizione di particolare responsabilità del dirigente in quanto al vertice dell’organizzazione aziendale.

La vicenda ha riguardato un dirigente presso un’azienda speciale a partecipazione pubblica, il quale ha assunto la carica di consigliere delegato, con poteri di rappresentanza legale, di una società privata di cui era anche socio. A seguito di tale circostanza l’azienda gli ha notificato il provvedimento di licenziamento e dunque il dirigente ha impugnato il suddetto provvedimento. Il Tribunale adito ha respinto l’impugnativa di licenziamento per aver, il dirigente, violato i doveri di lealtà e fedeltà. Il dipendente ha impugnato la sentenza di primo grado. La Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado. Il dirigente avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso in cassazione ma i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso.

Per giurisprudenza pacifica, l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 del Codice Civile, dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 del Codice Civile, che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (tra le altre: Cass. n. 2550 del 2015; Cass. n. 14176 del 2009); l’obbligo di fedeltà, così integrato, deve quindi intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (cfr., Cass. n. 8711 del 2017; Cass. n. 14249 del 2015; Cass. n. 144 del 2015; Cass. n. 25161 del 2014; Cass. n. 6501 del 2013).

Di particolare interesse è l’ordinanza n. 11172/2022, con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dirigente. Questi, infatti, aveva avuto contatti con una società concorrente per l’acquisizione in proprio di una sua quota, all’insaputa dell’azienda multinazionale in cui ricopriva la posizione apicale.
I giudici del merito e di legittimità hanno ravvisato nel comportamento del dirigente una violazione del dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del Codice Civile e dei principi di correttezza e buona fede.

Inoltre, la sentenza n. 17689 del 31 maggio 2022 della Suprema Corte ha affrontato il rapporto tra l’obbligo di fedeltà e il diritto di critica del dirigente nei confronti del datore di lavoro. La Corte ha stabilito che l’esercizio del diritto di critica deve essere contemperato con il dovere di fedeltà e con i canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto. Pertanto, critiche mosse dal dirigente nei confronti dell’azienda devono essere fondate, espresse in modo corretto e non ledere l’onore o la reputazione del datore di lavoro.

In sintesi, la giurisprudenza recente evidenzia una visione estensiva dell’obbligo di fedeltà del dirigente, che comprende non solo il divieto di concorrenza e la tutela dei segreti aziendali, ma anche l’adozione di comportamenti coerenti con i principi di correttezza e buona fede, al fine di preservare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

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