Requisiti del patto di non concorrenza e dirigenti
Articolo pubblicato su Norme & Tributi – Il Sole 24 Ore
Un datore di lavoro può avere interesse a impedire che un suo dipendente che riveste ruoli strategici, come spesso accade quando si tratta di un dirigente, possa impiegare informazioni e competenze acquisite nel corso del rapporto di lavoro a vantaggio di altri datori oppure avviando una propria attività di impresa in concorrenza.
Durante il rapporto di lavoro, l’obbligo di non concorrenza del lavoratore deriva dall’art. 2105 c.c.; invece, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, è necessario stabilire tale obbligo con un apposito patto che, ai sensi dell’art. 2125 c.c., a pena di nullità deve risultare da atto scritto, prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore ed essere contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo.
Per quanto concerne il limite di tempo, la durata dell’obbligo di non concorrenza non può superare i cinque anni se riguarda un dirigente (tre anni per gli altri dipendenti); una maggiore durata eventualmente pattuita si ridurrebbe in tale misura.
Con riferimento al corrispettivo, è questione ampiamente affrontata dalla giurisprudenza se possa essere stabilito in un importo (fisso o in percentuale della retribuzione) da pagarsi con cadenza periodica nel corso del rapporto di lavoro.
Secondo un orientamento, abbracciato soprattutto da sentenze di merito, in tal caso il patto di non concorrenza sarebbe nullo poiché l’ammontare complessivo del corrispettivo non sarebbe prevedibile ex ante, ma dipenderebbe dalla durata del rapporto di lavoro; il lavoratore sarebbe così impossibilitato a prevedere l’utilità che potrà ottenere dal patto, mentre il datore di lavoro, recedendo dal rapporto dopo breve tempo, potrebbe vincolare lo stesso lavoratore al divieto di concorrenza con il pagamento di un importo modesto (così, recentemente, Tribunale Treviso 20 febbraio 2020 n. 67; conforme Tribunale Rieti 17 novembre 2020, n. 210).
Secondo altro orientamento (prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte), occorre invece distinguere tra la verifica della determinatezza o determinabilità del compenso ex art. 1346 c.c. e quella della sua congruità ex art. 2125 c.c.; un compenso destinato ad aumentare in base alla durata del rapporto di lavoro è comunque determinabile ai sensi dell’art. 1346 c.c. se quantificabile in base a criteri oggettivi, fermo restando che, alla luce di una valutazione ex post, potrebbe risultare non congruo, se simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrifico imposto al lavoratore, e quindi comportare la nullità dell’intero patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. (ex pluribus, Cass. 11 novembre 2022, n. 33424; Cass. 25 agosto 2021, n. 23418; Cass. 1 marzo 2021, n. 5540; Corte d’appello Milano 13 settembre 2022).
Nell’alveo di quest’ultimo orientamento, la Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Milano che aveva ritenuto valido il patto di non concorrenza sottoscritto da un dirigente bancario (con mansioni di private banker) che stabiliva il pagamento nel corso del rapporto di lavoro di un importo fisso annuale (Cass. 25 agosto 2021, n. 23418, cit.); in particolare, la Corte d’appello aveva precisato che il corrispettivo risultava facilmente determinabile e, in quanto destinato ad aumentare con la durata del rapporto di lavoro, maggiormente idoneo a compensare il sacrificio del dirigente che avrebbe avuto maggiore difficoltà a ricollocarsi altrove a seguito di una specifica esperienza a lungo maturata nello stesso posto di lavoro.
La casistica sulla congruità del corrispettivo (la cui valutazione è rimessa al giudice di merito) è variegata. A titolo esemplificativo, è stato ritenuto congruo un importo annuo pari a 12.000 euro lordi da corrispondersi nel corso del rapporto di lavoro (a fronte di una retribuzione annua lorda iniziale di 63.000 euro e finale di 100.000 euro), considerato che il patto lasciava la possibilità di impiegarsi in altri settori merceologici e/o al di fuori del territorio italiano (Corte d’appello Milano 13 settembre 2022, cit.); invece un corrispettivo pari a 8.500 euro lordi annui pagati in costanza di rapporto (a fronte di una retribuzione di circa 59.000 annui) è stato giudicato inadeguato in relazione alla specifica professionalità del lavoratore (un promotore finanziario) e alle sue esigenze di vita, poiché, per non violare il patto di non concorrenza, egli avrebbe dovuto ricrearsi un nuovo portafoglio clienti in un’altra zona (Tribunale Udine 16 novembre 2018, n. 197).
Per quanto concerne i limiti di oggetto, il patto di non concorrenza può riguardare anche mansioni differenti da quelle svolte nel corso del rapporto di lavoro, ma non essere di ampiezza tale da compromettere ogni possibilità di guadagno del lavoratore (tra le tante, Cass. 25 agosto 2021, n. 23418, cit.).
Il limite di oggetto deve essere valutato anche in relazione al limite di territorio: in linea di principio, tanto più ampio è l’oggetto, quanto più circoscritto dovrebbe essere l’ambito territoriale.
Si segnala un’interessante recente pronuncia della Corte d’appello di Torino con cui è stato ritenuto valido il patto con cui un dirigente con mansioni di direttore commerciale si era impegnato a non svolgere attività in favore di qualsiasi impresa che operasse nel settore relativo ad uno specifico prodotto, benché il vincolo riguardasse addirittura tutto il mondo (Europa, Russia, Medio Oriente, Asia, America del Nord e del Sud, Africa e Oceania) e nonostante il dirigente avesse maturato una trentennale esperienza esclusivamente in tale ambito (Corte d’appello di Torino 31 ottobre 2022, n. 520); in particolare, la sentenza ha sottolineato che la professionalità di un direttore commerciale si caratterizza non solo per la conoscenza del prodotto, ma anche per altre competenze (in ambito economico, nelle trattative e nell’organizzazione del personale), e, pertanto, il dirigente avrebbe potuto esplicare la propria attività lavorativa in qualunque settore oltre che in settori affini.
In caso di declaratoria di nullità del patto di non concorrenza, il lavoratore è liberato dall’obbligo di non concorrenza e il datore di lavoro ha diritto di ripetere gli importi pagati quale corrispettivo.