Le molestie sessuali sul luogo di lavoro
Articolo pubblicato su Partner24Ore Network – Il Sole 24 Ore
Le molestie sessuali sul luogo di lavoro secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza n. 13748 del 22 maggio 2025 la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in punto di molestie sessuali sul luogo di lavoro, esaminando il caso di una lavoratrice licenziata per giusta causa per avere proferito, in più occasioni, frasi a contenuto sessuale nei confronti di un lavoratore. La vicenda traeva origine dalla denuncia presentata al datore di lavoro dallo stesso lavoratore.
La Corte di Cassazione ha premesso che la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 c.c. è definita con una clausola generale che deve essere specificata dall’interprete, considerando fattori esterni relativi alla coscienza sociale e i principi richiamati tacitamente dalla stessa norma.
La Corte ha quindi evidenziato che costituisce oramai un approdo della evoluzione della società ritenere che qualunque intrusione nella sfera intima di una persona debba essere valutata alla luce dell’importanza preminente attribuita dalla Costituzione ai diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), al riconoscimento della pari dignità sociale senza distinzioni di sesso e allo sviluppo della persona umana (art. 3), al lavoro come esplicazione della personalità (art. 4), alla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35).
Occorre altresì – prosegue la Corte di Cassazione – tenere conto della specifica disciplina approntata dal legislatore per prevenire e reprimere le discriminazioni sulla base del sesso; si tratta, in particolare, del d.lgs. n. 198 del 2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) che qualifica come discriminazioni le molestie “ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (art. 26 comma 1) e prevede che i datori di lavoro siano tenuti ex art. 2087 c.c. a garantire l’integrità fisica e morale dei lavoratori anche concordando con le organizzazioni sindacali le iniziative atte a prevenire le molestie sessuali sul luogo di lavoro (art. 26 comma 3-ter).
Sulla scorta di ciò, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, anziché far riferimento alla “scala valoriale di riferimento” sopra indicata, aveva ritenuto determinante la mancanza di precedenti disciplinari della lavoratrice e di rilevanti conseguenze dannose sull’organizzazione del lavoro dichiarando il licenziamento illegittimo perché sproporzionato rispetto ai fatti.
L’ordinanza n. 13748 del 22 maggio 2025 si è uniformata all’ordinanza n. 7029 del 9 marzo 2023 relativa alla vicenda analoga di un dipendente licenziato per giusta causa per aver schernito una collega con frasi contenenti riferimenti al suo orientamento sessuale; anche in questo caso la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che non aveva verificato la sussistenza della giusta causa sulla base del predetto insieme di valori, ma aveva qualificato il comportamento del lavoratore come una condotta inurbana sanzionata dal regolamento interno del datore di lavoro con un provvedimento conservativo, giudicando così il licenziamento come illegittimo; successivamente, con l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale all’esito del giudizio di rinvio con cui, in applicazione del principio di diritto affermato nel giudizio rescindente, il licenziamento era stato ritenuto legittimo.
Si segnala, inoltre, l’ordinanza n. 23295 del 31 luglio 2023 con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che, muovendosi “nella cornice di definizione di molestie” di cui all’art. 26 del Decreto Legislativo n. 198/2006, aveva giudicato legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che aveva attuato comportamenti consistenti in molestie sessuali nei confronti di una collega, valutando come irrilevante la mancanza di volontà di offendere e il generale clima scherzoso tra colleghi.
Con pronunce più risalenti (citate anche nell’ordinanza n. 13748 del 22 maggio 2025) la Corte di Cassazione si era invece focalizzata sull’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., evidenziando che esso può comportare anche il licenziamento del dipendente che abbia commesso molestie sessuali atteso che tali condotte hanno ripercussioni sullo stato di salute e sulla serenità del lavoratore molestato (Cass. n. 20272 del 18 settembre 2009; Cass. n. 5049 del 18 aprile 2000).
Pertanto, con i più recenti interventi della Corte di Cassazione sopra esaminati, il quadro dei valori di riferimento per la verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento in ipotesi di molestie sessuali sul luogo di lavoro è stato meglio delineato e completato.
Come visto, il fulcro di tale quadro è costituito dalla equiparazione delle molestie sessuali alle discriminazioni, così come sancito dal d.lgs. n. 198 del 2006, e quindi non può esserci spazio per interpretazioni più tolleranti, talvolta rinvenibili in alcune sentenze di merito, che declassano questi comportamenti a semplici condotte sconvenienti o inopportune.
Avv. Carola Ferraris