L’obbligo di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Articolo pubblicato su Norme & Tributi – Il Sole 24 Ore

L’obbligo di repechage consiste nell’obbligo del datore di lavoro di verificare, prima di procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se è possibile (nei limiti che esamineremo nel prosieguo) impiegare il lavoratore in altre mansioni.

L’obbligo di repechage è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale e mira, attraverso un bilanciamento tra l’interesse del datore di lavoro a realizzare un’organizzazione efficiente e quello del lavoratore a conservare il posto, a garantire che il licenziamento costituisca l’extrema ratio, considerata anche la rilevanza attribuita al lavoro dalla nostra Costituzione (Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 2019, n. 31520; Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2012, n. 9656).

Per costante giurisprudenza, l’obbligo di repechage non sussiste con riferimento ai lavoratori inquadrati come dirigenti in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale caratterizzata da un regime di libera recedibilità (tra le altre, Cass. civ, sez. lav., 6 dicembre 2022, n. 36955 ; Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2013, n. 3175).

Nel vigore del precedente testo dell’art. 2103 c.c. (che consentiva lo ius variandi orizzontale con riferimento a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte e sanzionava con la nullità ogni patto di demansionamento), l’estensione dell’obbligo di repechage era stato inizialmente circoscritto alle sole mansioni equivalenti. Successivamente, sulla base della teoria del “male minore” e alla luce di alcune eccezioni

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al divieto di demansionamento previste in casi particolari da disposizioni normative (fra cui l’art. 42 del d.lgs 9 aprile 2008, n. 81 per l’ipotesi del lavoratore giudicato inidoneo alla mansione specifica), si era sviluppato un nuovo orientamento giurisprudenziale sul punto; secondo questo indirizzo, in mancanza di mansioni equivalenti, il datore di lavoro, prima del procedere al licenziamento, era tenuto a prospettare al lavoratore, al fine di ottenere il suo eventuale consenso, l’assegnazione a mansioni inferiori, purché rientranti nel bagaglio di competenze di quest’ultimo non potendosi imporre al datore di lavoro i costi connessi ad una formazione professionale (tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 2019, n. 31520, cit., relativamente ad una fattispecie a cui era applicabile ratione temporis il precedente testo dell’art. 2103 c.c.; Cass. civ., sez. lav., 23 ottobre 2013, n. 24037).

In ogni caso, la giurisprudenza è sempre stata, come lo è tuttora, univoca nel ritenere che l’obbligo di repechage sia riferito soltanto all’assetto organizzativo già esistente, non comportando per il datore di lavoro l’onere di creare ad hoc una posizione lavorativa alternativa.

Il nuovo testo dell’art. 2103 c.c. (così come riformato dal d.lgs 15 giugno 2015, n. 81) consente lo ius variandi orizzontale in mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale delle ultime effettivamente svolte (comma 1). Consente inoltre di assegnare mansioni riconducibili al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, in ipotesi di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore (comma 2).

E’ previsto che il mutamento di mansioni, quando necessario, possa essere accompagnato dall’assolvimento dell’obbligo formativo, ma in mancanza non si determina la nullità dell’atto di assegnazione (comma 3). Altre ipotesi di adibizione a mansioni del livello inferiore (sempre purché appartenenti alla medesima categoria) possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva (comma 4).

Nei predetti casi di assegnazione a mansioni del livello inferiore, il lavoratore ha diritto a mantenere il livello e il trattamento retributivo in godimento, tranne per quanto concerne gli elementi connessi a particolari modalità di esecuzione delle precedenti mansioni (comma 5).

Viene altresì contemplata la possibilità di sottoscrivere, in sede “protetta” ex art. 2113 c.c. oppure innanzi alle commissioni di certificazione, accordi individuali per la modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita (comma 6).

Occorre pertanto valutare se la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c. abbia esteso l’area delle mansioni oggetto del repechage.

Innanzitutto, alla luce del comma 1 dell’art. 2103 c.c., i confini dell’obbligo di repechage devono intendersi ampliati sino a comprendere le mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento; come osservato in una pronuncia del Tribunale di Milano, la nozione di “equivalenza” delle mansioni è stata superata ( Tribunale Milano, 16 dicembre 2016, n. 3370; conforme Tribunale Roma 24 luglio 2017).

Con riferimento ad un eventuale repechage in mansioni inferiori, alcune pronunce, nel solco dell’orientamento sviluppatosi nella vigenza del vecchio testo dell’art. 2103 c.c., hanno ribadito che il datore di lavoro debba proporre al lavoratore, per ricevere il suo eventuale consenso, la possibilità di reimpiego in mansioni inferiori rientranti sul suo bagaglio professionale (Tribunale Firenze 20 luglio 2021, n. 545; Tribunale Trapani 16 gennaio 2018).

Altre pronunce hanno invece evidenziato che, con la riforma dell’art. 2103 c.c., l’ambito delle mansioni oggetto del rapporto di lavoro comprende anche quelle di un livello inferiore in presenza di determinate ragioni organizzative e, pertanto, si configura una violazione dell’obbligo di repechage se il datore di lavoro, anziché assegnare unilateralmente tali mansioni, proceda al licenziamento (Tribunale Trento 18 dicembre 2017; conforme Tribunale Roma 24 luglio 2019). Anche se nelle predette pronunce non viene esplicitato, alla luce del comma 5 dell’art. 2103 c.c., pare si debba ritenere che il lavoratore abbia diritto a mantenere la stessa retribuzione (salvo per gli importi connessi a particolari modalità di esecuzione della precedente prestazione lavorativa).

Pur nella prospettiva delle pronunce da ultimo menzionate, sorge l’interrogativo se, in mancanza di mansioni dello stesso livello e di quello immediatamente inferiore, il datore di lavoro sia almeno tenuto a proporre al dipendente l’adibizione a mansioni inferiori di più di un livello eventualmente esistenti.

Da una parte, poiché tali mansioni non rientrano nell’ambito dell’ius variandi del datore di lavoro, si dovrebbe dare una risposta negativa al quesito. Dall’altra, sulla base del principio di correttezza e buona fede e del concetto di licenziamento come extrema ratio, anche considerando il disposto del comma 6 del nuovo testo dell’art. 2103 c.c., si potrebbe ritenere sussistente tale onere in capo al datore di lavoro. In caso di accettazione delle mansioni da parte del lavoratore, l’assegnazione dovrebbe essere disciplinata con un accordo ai sensi del comma 6 predetto.

Anche alla luce del nuovo testo dell’art. 2103 c.c., la giurisprudenza ha ribadito che le mansioni oggetto del repechage possano essere soltanto quelle rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore (Tribunale Roma 24 luglio 2017, cit.; Tribunale Trapani 16 gennaio 2018, cit.; Tribunale Firenze 20 luglio 2021, n. 545, cit.). In particolare, è stato osservato che il testo dell’art. 2103 c.c. attualmente vigente configura l’obbligo formativo come conseguenza di una scelta unilaterale del datore di lavoro e, in una situazione idonea a giustificare un licenziamento per ragioni oggettive, non si può imporre a quest’ultimo l’onere economico di una formazione professionale (Tribunale Roma 24 luglio 2017, cit.).

Una sentenza del Tribunale di Lecco si è discostata parzialmente da questo orientamento, avendo ritenuto che, pur non configurandosi un generale obbligo di formare professionalmente il lavoratore, nell’ipotesi in cui la sua professionalità sia diventata obsoleta a causa di una riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro, in applicazione del principio di correttezza e buona fede, debba anche valutare l’impossibilità o quanto meno la antieconomicità della riqualificazione professionale prima di procedere al licenziamento ( Tribunale Lecco 31 ottobre 2022 ).

Come visto, dopo oltre otto anni dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 2103 c.c., la giurisprudenza in punto di obbligo di repechage non ha ancora risolto tutti i dubbi interpretativi.

Sarà pertanto interessante attendere le prossime pronunce giurisprudenziali considerati i numerosi spunti di riflessione che il nuovo testo della norma offre.

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